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1. Ucraina: come definirebbe in poche righe quello che sta accadendo?
È la crisi internazionale più pericolosa degli ultimi cinquant’anni, paragonabile per portata alla crisi dei missili di Cuba nel 1962. Il terremoto del sistema politico ucraino avviene lungo una delle “linee di faglia” del confronto strategico planetario, durante un momento in cui gli Stati Uniti – che non accettano un mondo multipolare – vorrebbero spegnere la potenza russa riemersa dopo le sue umiliazioni post-sovietiche.
2. Ci troviamo di fronte ad uno degli estremi atti della Guerra Fredda oppure c’è il rischio effettivo di un nuovo conflitto mondiale?
La Guerra Fredda è durata molti decenni e ha plasmato il modo di ragionare e di agire delle classi dirigenti di tanti paesi, e quella visione del mondo rimane in Occidente nella testa di influenti accademici, generali, editori, giornalisti, nonostante l’Unione Sovietica non ci sia più dal 1991. Possiamo dire che molti pilastri della Guerra Fredda restano ancora in piedi anche in un paesaggio profondamente cambiato, tanto è vero che la NATO non è stata smantellata, bensì estesa. Rispetto ai tempi della prima Guerra Fredda e rispetto al primo decennio post-sovietico, l’Occidente sta compiendo però un grave errore di valutazione, che – se non verrà corretto – potrebbe portare il mondo alla catastrofe. Il mondo atlantista non potrà più prendere decisioni con implicazioni militari nei confronti di Mosca con l’illusione che d’ora in poi non abbiano un prezzo salatissimo da pagare, da subito. Si è già consumato tutto il tempo di un colossale abbaglio, ma dobbiamo capirlo al più presto se non vogliamo precipitare nella più grande catastrofe del nostro secolo. La Russia, dopo l’allargamento della NATO a Est, non ha più terreno da cedere. Per difendere questa posizione metterà in campo tutto il suo potenziale, con la massima determinazione. Dobbiamo sapere che ci siamo ormai affacciati a una finestra da cui si vedono già in volo i bombardieri nucleari.(di seguito il video) Il dramma – anche in Italia – è che non abbiamo ministri che capiscano la posta in gioco. I ministri degli esteri e della difesa nostrani agiscono come figuranti di un paese a sovranità zero.
3. Le sanzioni alla Russia che effetto sortiranno in realtà?
Potrebbero innescare una serie di scambi di colpi reciproci. Non sarebbero indolori per nessuno, perché il mondo è ora più interdipendente e c’è una forte complementarità fra l’economia europea e quella russa, specie per le forniture energetiche. La Russia è la sola entità in grado di fornire per decenni il gas di cui l’Europa ha bisogno per organizzare la sua graduale e auspicabile transizione verso un nuovo sistema energetico. Per contro, la Russia ha interesse a diversificare la sua economia interagendo con le altre potenze industrializzate. Lo schema delle sanzioni, altre volte applicato a piccoli paesi, non potrà funzionare allo stesso modo con la Russia, un territorio sconfinato entro il quale si trovano le più grandi riserve di energia fossile, in tutte le sue componenti, nonché di materie prime dell’intera tavola periodica di Mendeleev, di cui il pianeta sia dotato.
Ma anche quel che a Ovest verrebbe chiamato “capitale umano” in Russia è imponente, con un evidente spessore della sua intelligencija tecnologica. Il sistema sovietico è sì crollato, ma gli è sopravvissuta una cultura media del paese elevatissima, ereditata dal precedente sistema. Il livello delle università russe, dei politecnici, dei centri di ricerca, dell’Accademia delle Scienze, per decenni impegnati in una dura competizione per la parità strategica con gli USA, ha generato un ceto scientifico e tecnologico di straordinario valore. Aggiungo anche un altro fatto: mentre negli anni novanta la Russia annegava nei debiti e si faceva imporre un’austerity criminale dall’FMI, oggi è un super-creditore, un partner finanziario non remissivo. Il contrario della condizione italiana, per dirne una.
4.Quali sono, ad oggi, gli interventi effettivi degli Stati Uniti all’interno del territorio ucraino?
Registriamo sia una presenza di lunga data (costruita con enormi risorse economiche, miliardi di dollari spesi negli ultimi vent’anni), sia una presenza recente legata alla contingenza dell’attuale crisi. La prima presenza è consistita in un lungo lavoro egemonico rivolto dagli USA alle componenti più influenti delle classi dirigenti diffuse (politici, media, militari, professori universitari): persino la più insignificante borsa di studio con fondi americani era l’ingranaggio di un rodato sistema che fidelizzava, atlantizzava, dollarizzava i vari livelli delle classi dirigenti ucraine. Tutto il mondo ha potuto sentire le parole di Victoria Nuland, assistente segretario di stato per gli affari europei e euroasiatici del Dipartimento di Stato USA (nonché moglie di Robert Kagan, uno dei più eminenti neocon di Washington): «abbiamo investito 5 miliardi di dollari per dare all’Ucraina il futuro che merita». La seconda presenza USA in Ucraina, quella dell’oggi, è segnata da tre componenti intrecciate: una massiccia partecipazione della CIA (perfino con frequenti visite del suo capo John Brennan); un intenso lavoro di addestratori militari che guidano la riorganizzazione degli apparati repressivi con un inquadramento delle nelle forze di sicurezza ufficiali delle squadre paramilitari dei partiti di ispirazione nazista, e infine gruppi di mercenari appartenenti a imprese private (contractors), come la Greystone (una ex affiliata alla Xe, ossia la famigerata Blackwater).
5. I ribelli sono finanziati o appoggiati da partiti, fazioni o stati esterni alla realtà locale?
La parte dell’oligarchia “perdente” in questa fase – che componeva il blocco di potere di Janukovic, il presidente deposto con il colpo di Stato – non lesina risorse per cercare di compattare il blocco delle regioni che si oppongono al nuovo potere di Kiev. Tuttavia il New York Times, con un’inchiesta che ha sorpreso e irritato molti paladini della nuova Guerra Fredda, ha smontato l’idea che le milizie ribelli fossero composte da soldati o mercenari provenienti dalla Federazione Russa. La forte motivazione con cui si sono auto-organizzati larghi strati delle popolazioni dell’est russofono è confermata anche da altre recenti inchieste.
6. A questo proposito, una critica che viene spesso rivolta alle letture geopolitiche delle crisi è che queste trascurino la spontaneità, la genuinità dei movimenti popolari che poi determinano cambi di governi, secessioni, rivolte, ecc. Cosa risponde a quei sinceri democratici ucraini che hanno lottato per mesi all’interno del movimento EvroMajdan e non vogliono farsi assimilare ai nazisti?
Ovunque nel mondo ci sia un governo con un suo blocco sociale di riferimento, esistono sempre potenziali abusi di potere, competizioni, esigenze sociali in contrasto, cahiers de doléances, classi in lotta, atteggiamenti collettivi nei confronti della corruzione che possono trovare un punto di equilibrio e di compromesso oppure possono esplodere. L’Ucraina non faceva eccezione, e sicuramente i suoi oligarchi sono stati incapaci di sollevare l’economia del paese. I nodi finanziari, economici, lavorativi, territoriali, sono diventati tutti nodi politici. Ma questa è la descrizione che potremmo dare di decine e decine di paesi, compresa l’Italia. La maggior parte del giornalismo si ferma qui, a questa “spontaneità”, e liquida come “cospirazionismo” l’analisi del potere e delle sue trame. Invece è necessario fare anche una grande foto panoramica che riprenda tutto lo scenario e non escluda di dover inquadrare i potenti a livello globale. In troppi rimuovono il fatto che presso i centri del comando imperiale sia relativamente facile spendere miliardi di dollari in un determinato paese per esasperare una crisi, introdursi nel “nucleo cesaristico” di un potere statale, sgretolarlo e afferrarne i dividendi.
Sono ancora caldi i casi di Libia e Siria. C’erano delle crisi e c’erano portatori di interessi con buone ragioni, così come in Ucraina. Ma l’esito di queste crisi non è mai stato nelle mani dei “portatori sani” di rivolta, anche se si sono illusi di poter dettare l’agenda a chi imponeva loro una svolta armata e rivoluzionaria. Hanno chiuso un occhio nei confronti delle alleanze con i tagliagole jihadisti in Libia e Siria, e con i tagliagole nazisti in Ucraina. Un errore politico dagli esiti disastrosi, per la gioia degli estremisti e dei mercenari che scorrazzano fra le macerie e il caos. Credevano davvero che i maggiorenti americani ed europei che li aizzavano in piazza avessero a cuore la democrazia?
7.Nelle proteste si possono riscontrare buone aspirazioni, dunque, ma il potere le piega ai suoi fini? Diventa così inevitabile schierarsi o con Obama o con Putin?
Mi viene in mente un verso di Fabrizio de André, quando il suo canto ammonisce che certo bisogna farne di strada «per diventare così coglioni da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni». Stringi stringi, il centro della bolla mediatica occidentale in cui viviamo si basa sull’idea che il presidente statunitense sia il rappresentante di un “potere buono”. Una volta consolidata questa cornice, quel potere potrà persino diventare un sistema di spionaggio totalitario (com’è effettivamente diventato), potrà stoccare da anni il cento per cento delle e-mail di tutti, potrà avere un potere di ricatto enorme sulle classi dirigenti di mezzo mondo (potendo estrarre in qualsiasi momento un messaggio imbarazzante), potrà infiltrare agenti e droni in barba alla sovranità di decine di paesi, iniziare guerre, provocare shock finanziari estremi, ecc., ma lo spione guerrafondaio, per le redazioni , resterà sempre quel cattivone di Vladimir Putin. In realtà qualche linea guida per giudicare i fatti e per proporre soluzioni c’è. Trovo che sia puro buon senso, ad esempio, non demonizzare la figura di Putin, come invece fa la quasi totalità dei media. Dobbiamo invece considerare attentamente quel che propone, senza vedere solo menzogne nel “racconto del mondo” che si fa a Mosca. Questo è per l’Occidente un errore tragico, ideologico, che intacca la capacità d’interpretare razionalmente i grandi fatti: la pace, la guerra, l’economia, l’energia, la notificazione degli interessi in gioco, il loro valore dichiarato, le conseguenti valutazioni. Il mondo modellato dagli USA con le guerre post-11 settembre cerca costantemente di distruggere un ordinamento giuridico internazionale che prima ammetteva norme non basate sul solo diritto di potenza. Dobbiamo sapere che le risposte che verranno dalla distruzione del vecchio ordinamento saranno sempre più dure.
Per tornare alle buone e cattive ragioni, le guerre più recenti scatenate dall’Occidente hanno funzionato così: in un Paese si trovano buone ragioni amiche da finanziare e imbottire di armi e da considerare non negoziabili. Le buone ragioni nemiche vengono invece demonizzate, le cattive ragioni nemiche sono considerate incorreggibili, i normali contrasti che si troverebbero ovunque anche altrove, lì sono considerati irrisolvibili e vanno artificialmente esasperati, ogni proposta di compromesso va rigettata fino a rendere cosa normale una guerra civile sotto una No-Fly Zone. Poi arrivano i bombardamenti e un qualche successivo equilibrio con i signori della guerra in uno Stato fallito. Portare questo modello d’intervento dentro il mondo russo è l’anticamera dell’Apocalisse, e perciò mi oppongo con nettezza. Significa voler bene a Putin? No. Però non mi stupisco più di una serie di paradossi, come il fatto che Edward Snowden sia libero in Russia, mentre non lo sarebbe in Occidente. Nessuno che voglia farsi domande in proposito?
8.Perché la stampa italiana tende a fare confusione riguardo questa situazione piuttosto critica e a “nascondere” la verità?
Le cause sono diverse. C’è quella specie di “pilota automatico” che descrivevo prima, per cui i giornalisti innestano la marcia della Guerra fredda e ogni notizia viene adeguata ad essa, piegando anche la verità autoevidente dei fatti, se necessario. I padroni dell’informazione in Italia sono totalmente allineati con il mainstream anglosassone e non osano rischiare una nota stonata, che comprometterebbe la loro carriera. A ciò si aggiunga la crescente incapacità degli organi d’informazione italiani nel raccontare la politica internazionale, che si innesta su alcuni vizi storici del giornalismo nostrano. Ci sono stati perfino dei corrispondenti da Mosca che nemmeno dopo cinque o persino neanche dopo otto anni trascorsi in Russia avevano voluto imparare il russo, tanto che lavoravano – si fa per dire – soltanto rimasticando le agenzie in lingua inglese. In questi giorni buona parte delle testate italiane, poiché avevano già sottovalutato il peso della destra estrema nella nuova vita politica di Kiev, sono state praticamente incapaci di raccontare il pogrom anti-separatista e anti-russo conclusosi nell’orribile rogo di Odessa: non potevano raccontare di un regime che protegge e usa squadracce naziste, senza contraddire tutta la loro retorica e tutte le loro omissioni. Per questo sono orgoglioso del lavoro di informazione che abbiamo fatto fin qui con la neonata Pandora TV.
9. C’è una via d’uscita alla crisi ucraina?
Finora questa crisi è stata il luogo di sperimentazione della russofobia, molto esibita, accompagnata dallo sdoganamento di un’alleanza con un nuovo nazismo, meno esibita. Occorrerà invece trasformare l’Ucraina nel laboratorio dell’interdipendenza, garantendo che sia un paese neutrale, federale, con pieno e garantito multilinguismo, e una partnership di sicurezza collettiva fra Russia e Europa. Il resto è guerra.
Nb: la presente intervista ha carattere esclusivo e non può essere riprodotta in toto su alcun sito, è possibile citare una o più domande con relativo link alla fonte.
DI VALERIA GATOPOULOS
12 maggio 2014
(*) Pino Cabras classe 1968 è laureato in Scienze Politiche e lavora in una finanziaria d’investimento, per la quale ha curato diversi programmi negli Stati Uniti e in Asia. Ha pubblicato “Balducci e Berlinguer, il principio della speranza” (La Zisa, 1995), “Strategie per una guerra mondiale” (Aìsara, 2008); con Giulietto Chiesa ha pubblicato “Barack Obush (2011), uscito nel 2012 in edizione russa con il titolo «Глобальная матрица» (Global’naja Matrica). È condirettore del sito www.megachip.info.